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Una Mano Per il Nepal è il blog dell’associazione Apeiron ODV, impegnata dal 1996 a migliorare le condizioni di vita delle donne, in Nepal e in Italia. Sul nostro blog leggerai storie e racconti del nostro lavoro quotidiano.

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Apeiron & il Nepal, una storia d’amore lunga 20 anni

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Pubblicato il
22 Novembre 2018
Commenti 2

La nascita di Apeiron

Come spesso succede nella vita di tutti noi, le relazioni più importanti e le cose più belle iniziano per caso e poi proseguono e si fortificano per scelta.

Lo stesso può dirsi del rapporto di Apeiron con il Nepal. Che Apeiron stabilisse ai piedi della catena Himalayana il centro ed il cuore delle proprie attività non era previsto nel lontano 1996 quando venne fondata, tant’è che Apeiron è un nome greco, che in nulla rimanda al sanscrito o alla lingua nepalese. Significa “infinito”, perché tale era il cambiamento che, una vita alla volta, i fondatori di Apeiron volevano realizzare nel mondo. Eppure, giunti in Nepal per caso, furono sempre loro a non avere dubbi: era questo il luogo in cui aveva senso attivarsi.

La ragione che ha maggiormente convinto Apeiron a concentrare il proprio operato in Nepal può rintracciarsi nella grave condizione in cui le donne nepalesi portano avanti la loro esistenza. Si tratta di una condizione tanto diffusa quanto nascosta agli occhi dei più.

Una verità nascosta

La maggioranza dei turisti, dei trekkers e dei tanti visitatori che giungono in Nepal ogni anno, percepiscono il piccolo Stato Himalayano come un luogo incantato, adagiato tra l’imponente catena montuosa dell’Himalaya e le umide pianure indiane. Per molti, il Nepal è il Paese dei picchi innevati e dei paesaggi mozzafiato, degli yak e degli yeti, dei monasteri e dei mantra. Eppure, al di là delle sue bellezze incontaminate, il Nepal è anche un Paese complesso, tormentato da una profonda povertà e instabilità politica, e caratterizzato da una radicata violenza di genere e disuguaglianza.

Secondo gli ultimi sondaggi, una donna nepalese su cinque è stata vittima di una qualche forma di violenza fisica e più di una su dieci ha subito un abuso sessuale. La violenza contro le donne è insita nella comunità come conseguenza di un forte patriarcato, ed è aggravata da alcune pratiche tradizionali come i matrimoni infantili, l’isolamento delle donne durante il ciclo mestruale, la poligamia, la dote e il limitato accesso delle donne ai beni e ai diritti di cittadinanza.

Un contesto che ha fatto la differenza

Fattori culturali, religiosi ed economici favoriscono da sempre il dominio maschile in ogni campo, contribuendo a relegare la donna a posizioni di mera subalternità alle figure maschili che la circondano, rendendola facile vittima di comportamenti vessatori. La bassa considerazione riservata alle donne è chiara sin dalla loro nascita. Nel contesto culturale nepalese, infatti, la nascita di una figlia è evento spesso accolto con rammarico, se non come segno di imminente sfortuna. Una figlia è considerata un peso per la famiglia, che ha il dovere di crescerla fino a quando non sarà pronta per il matrimonio, momento a partire dal quale la stessa verrà irrevocabilmente “ceduta” alla famiglia del marito. La figlia che viene data in sposa, quindi, passa dalla famiglia d’origine a quella del marito ove vige una severa gerarchia che la confina a posizione di serva di tutti e, come tale, estremamente vulnerabile.

Pratiche culturali e sociali difficili da scardinare

Inoltre, la pratica dei cd. child marriage (ossia combinare matrimoni tra fanciulli) e quella della dote contribuiscono a creare terreno ancor più fertile per violenze ed angherie. Non di rado, infatti, le spose novelle si trovano loro malgrado ad essere oggetto di recriminazioni e rancori motivati da una dote insoddisfacente.

Le stesse tradizioni religiose, poi, hanno avuto una profonda influenza nel definire il ruolo subordinato che la donna riveste all’interno della famiglia e dell’intera società nepalese. Per l’induismo, infatti, religione prevalente in Nepal, spiritualmente il marito è Maestro e Dio della propria moglie, la quale ne è serva e schiava per tutta la vita. Da lei ci si attende docilità e rassegnazione. Inoltre, solo figli o nipoti maschi sono considerati degni di svolgere i complicati riti funerari induisti che portano alla salvezza delle anime dei cari defunti.

In alcune zone occidentali del paese, poi, la condizione femminile è ancora più grave. Qui, infatti, vige ancora la tradizione del “Chaupadi” secondo la quale una donna durante il ciclo e prima e dopo il parto è considerata impura e non può avvicinarsi ad altre persone, in particolare di sesso maschile. In questi casi le donne vengono costrette a dormire isolate dal resto della famiglia, in stalle o in capanne, dove è facile cadere vittime di polmoniti, diarrea o attacchi di bestie feroci e serpenti. Il timore di far arrabbiare gli dei con gravi conseguenze per l’intera comunità impedisce tuttavia alle donne di opporsi al loro destino e a quello riservato alle loro figlie. Ad aggravare il già desolante panorama, va ad aggiungersi il sistema gerarchico delle caste, ancora attuale e  vivo nella società Nepalese. La religione induista divide sistematicamente la società in 4 principali categorie, componendo un complicato puzzle che annovera oltre un centinaio tra caste e sottocaste, la più discriminata delle quali è, appunto, quella dei Dalit, ossia degli intoccabili. Ci sono, quindi, categorie di donne che vivono una discriminazione ancor più grave di quella sino ad ora descritta: le donne Dalit. Queste ultime sono infatti rinnegate per ben tre volte dalla società: in quanto donne, in quanto Dalit ed in quanto donne Dalit. Ad esse è negato l’accesso a numerosi diritti fondamentali. È, ad esempio, fatto loro divieto di sedersi vicino ai membri delle caste più elevate all’interno dei tempi, abbeverarsi alle fonti pubbliche e persino accomodarsi in alcuni ristoranti. Appena tollerate se instancabili lavoratrici, le donne Dalit sono tenute comunque a gran distanza dalle famiglie dove si trovano a prestare i propri servizi. In alcune case è vietato loro l’ingresso soprattutto in cucina, dato che la tradizione vuole che il cibo toccato dai Dalit diventi impuro e quindi non più commestibile.

Un problema che tocca tanti aspetti della vita

Quale ulteriore conseguenza della assoluta superiorità maschile va annoverata infine la totale dipendenza economica della donna dal marito. Dipendenza che rende difficile, se non impossibile, per la donna affrancarsi dal dominio maschile anche quando le angherie e le vessazioni nei suoi confronti sono gravi e quotidiane. Se a questo aggiungiamo lo stigma sociale a cui la donna è esposta nel caso in cui decida di vivere da sola, le opportunità di un riscatto sociale diventano minime. L’estrema povertà, la dilagante disoccupazione e la diffusione dell’alcolismo contribuiscono a creare terreno ancor più fertile per le innumerevoli violenze perpetrate nei confronti delle donne in seno alla famiglia.

Il sistema normativo e giudiziario nepalese, poi, non fornisce efficaci rimedi per contrastare e punire la violenza domestica e gli episodi di aperta discriminazione. Salvo che la violenza non si concluda con la morte od il tentato omicidio della donna, è raro che le autorità perseguano il marito (o il padre o il fratello ecc..) violento. Infine, la poligamia, ufficialmente illegale ma vastamente praticata e tollerata in Nepal, è considerata dalle donne stesse una delle più diffuse cause di violenze e discriminazioni nei loro confronti. Spesso, infatti, gli uomini che si risposano trattano in maniera del tutto iniqua la prima moglie.

Il dato che, tra tutti, rende chiara la gravità della condizione femminile nel Paese è probabilmente quello raccolto a seguito di una ricerca del 2011, secondo la quale la violenza di genere è la principale ragione dei suicidi che sono, a loro volta, la prima causa di morte tra le donne nepalesi in età riproduttiva.

L’impegno di Apeiron nel piccolo Stato himalayano

Il lavoro di Apeiron, volto ad aiutare le donne a superare le barriere che non permettono loro di vivere una vita dignitosa e di realizzare il proprio potenziale, è quindi quanto mai fondamentale per il Paese. Ed il valore di quello che facciamo aumenta perché lavoriamo non solo con le donne, ma coinvolgiamo nell’onda del cambiamento le loro famiglie e l’intera comunità. Ci prendiamo tutto il tempo necessario a conoscere gli individui e le comunità con cui lavoriamo, ci mettiamo in ascolto, per comprenderne i reali bisogni. Non abbiamo mai fretta di iniziare o concludere un progetto, ci interessa che i nostri interventi portino un reale, sostenibile cambiamento verso il miglioramento della condizione femminile.

Il logo di Apeiron simboleggia il continuo progresso, lo stesso in cui coinvolgiamo i beneficiari dei nostri progetti. In questi anni di lavoro sul campo siamo stati testimoni di grandi cambiamenti, abbiamo visto donne sopravvissute ad inenarrabili violenze guadagnare fiducia in se stesse grazie ai corsi cui hanno preso parte ed utilizzare queste nuove abilità per ottenere maggior considerazione ed un nuovo status all’interno delle loro famiglie.

Questi tangibili risultati continuano ad essere ispirazione e spinta a continuare il lavoro che con passione portiamo avanti da anni. La parità di genere non è un miraggio, ma va costruita giorno per giorno e con la nostra presenza e i nostri interventi partecipiamo attivamente a questo lento inesorabile cambiamento, che vedrà un giorno le donne non più subalterne alle figure maschili, ma vere protagoniste del loro destino.

A proposito dell'autore
Barbara Monachesi è la Responsabile di Apeiron in Nepal. Vive nel Paese dal 2005.

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I commenti dovranno essere approvati prima della pubblicazione.

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Commenti (2)
  • Tiziana Bertoldin

    L’articolo è bello e interessante, certamente aiuta a vedere la realtà di un mondo che come scrive l’autrice è spesso confinato solo agli obbiettivi turistici, sportivi, o “religiosi”, per coloro che forse cercano in Nepal un’eco della spiritualità induista e non solo. Andare oltre i luoghi comuni, o anche solo oltre i paesaggi e le avventure, significa vedere dal di dentro la realtà di un Paese, con le sue contraddizioni, miserie e anche potenzialità. Questo mi pare stia facendo Apeiron, focalizzandosi non solo sulle donne, ma anche sui bambini, sulla scolarizzazione, e comunque su quegli obbiettivi che possono dare alle persone dignità e autonomia. Io faccio il tifo per Apeiron!
    Grazie a voi tutti di Casa Nepal.